L'editoria italiana odia Tolkien?
Leggende metropolitane narrano da sempre di un rapporto difficile fra il creatore di Arda e della Terra di Mezzo e l'editoria italiana, un rapporto costellato di tensioni e incomprensioni. Ma solo ora, a 47 anni dalla prima trasposizione de "La compagnia dell'anello" in lingua italiana, la verità emerge dai meandri oscuri delle illazioni sparse in giro per anno.
Si deve a Oronzo Cilli, importante esponente della Società Tolkieniana Italiana, la ricerca minuziosa e la ricostruzione dei turbolenti rapporti fra Tolkien e le case editrici italiane. Cilli è stato curatore della seconda edizione de "Lo Hobbit annotato" e autore di "J.R.R. Tolkien - La bibliografia italiana dal 1967 a oggi".
Riportiamo l'intervista completa de "Il Giornale.it"
Il suo è stato davvero un lavoro certosino al quale a quanto sembra nulla è sfuggito, neppure il più piccolo dettaglio. Come nasce?
«Nel 2010, quando Massimo Novelli su La Repubblica presentò un documento inedito del 1962 sul diniego della Mondadori a pubblicare il Signore degli Anelli. Iniziai a cercare e quello che credevo un punto di partenza si è poi rivelata solo una tappa di un lungo e affascinate percorso tra l'Italia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti. La storia iniziava molti anni prima, addirittura nel 1954, l'anno in cui fu uscì la prima edizione inglese del capolavoro tolkieniano».
Questa è una notizia inedita e che getta nuova luce sul rapporto intercorso tra Tolkien e il nostro Paese.
«Sì, l'Italia rischiò di essere il primo Paese a pubblicare una traduzione del Signore degli Anelli come emerge dall'ancora inedita corrispondenza tra l'editore inglese, Allen & Unwin, e la Mondadori, giacché alla casa milanese Tolkien venne proposto sin dal 1954. E per ben due volte, nel 1954 appunto e nel 1962, Mondadori scelse, e non a cuor leggero, di non pubblicare l'opera».
Perché scelse di non farlo?
«Le motivazioni furono diverse e in fin dei conti figlie di quei tempi: il mercato editoriale, le richieste dei lettori e le difficoltà di un genere, il fantasy, in Italia ancora sconosciuto. Nel 1954 i primi due tomi - il terzo, Il ritorno del Re, non era ancora stato pubblicato! - giunti dall'Inghilterra furono valutati attentamente e affidati a una lettrice per la redazione dei pareri. Questi, anche se risultarono positivi - ancora oggi attualissimi e puntuali - non convinsero Mondadori poiché l'editore pensava che opere simili non avrebbe potuto interessare un gran numero di lettori italiani. Nel 1962 la vicenda fu più complessa e vide un dibattito interno a Mondadori con un Elio Vittorini, e non solo, su posizioni contrarie ma non di netta chiusura. La scelta fu ancora di non pubblicare il testo di Tolkien. All'editore inglese fu spiegato che il libro, sebbene fosse stato giudicato positivamente, risultava troppo nordico per il lettore italiano. In realtà, dai documenti emerge una discussione interna più approfondita con un Vittorini scettico, poiché non vedeva nel testo di Tolkien alcuna implicazione con metafore di una qualche attualità, anche se non escludeva l'ipotesi di pubblicare inizialmente il solo primo volume. Però, il tempo concesso dagli inglesi era ormai scaduto».
E poi?
«Arriva l'interesse dell'editore romano Mario Ubaldini, con l'Astrolabio che decide di pubblicare finalmente il primo volume. È il 1967 e anche in questo caso, esiste una ricca documentazione che permette di ricostruire la storia in modo preciso motivando, ad esempio, la scelta di escludere l'introduzione di Tolkien, giacché Lo Hobbit era ancora inedito in Italia. Si chiariscono anche le scelte della bella traduzione compiute dall'Alliata. Vi fu la precisa richiesta inglese di seguire le indicazioni della Guida per i traduttori di Tolkien e la raccomandazione di non tradurre la parola Hobbit. Si rende onore al grande sforzo economico e all'impegno di Ubaldini, anche se il pubblico non rispose come poi, tre anni più tardi, fece con Rusconi».
Infatti, dopo l'insuccesso dell'Astrolabio, arriva il boom Rusconi.
«Tolkien arriva in libreria in un volume unico come voleva lo stesso autore inglese grazie a un grande intellettuale come Alfredo Cattabiani e il successo fu immediato. Non è stato facile ricostruire il primo decennio tolkieniano con Rusconi, tra pregiudizi e successi, ma ogni tassello ha trovato il suo posto. Dal 1999, il passaggio in Bompiani, con un ruolo importante nel catalogo della Casa guidata da Elisabetta Sgarbi».
Ma il rapporto tra Tolkien e l'Italia fu solo editoriale?
«Pur non viaggiando molto, l'Italia riuscì a visitarla due volte. Nel 1955, con sua figlia Priscilla a Venezia e Assisi, e nel 1966, in crociera con sua moglie Edith. Per fortuna, annotò i ricordi del viaggio del 1955 in un diario, conservato alla Bodleian Library di Oxford, oggi edito solo in inglese nell'opera curata da Christina Scull e Wayne Hammond. E poi il legame con Dante e la sua adesione decennale alla Dante Oxford Society».
Di questa sua ricerca è prevista una pubblicazione a breve?
«Di materiale, soprattutto inedito, ce n'è davvero tanto, più di quanto si possa pensare. Il lavoro è completato, mi auguro che possa uscire nella prossima primavera, e con mio grande onore vedrà la prefazione di Scull e Hammond, due studiosi molto noti che hanno, su tutti, curato il testo di Tolkien, Roverandom».